La parola d’ordine per salvare i conti è privatizzare e vendere tutto! I servizi pubblici non ce li possiamo permettere! Apriamo le aziende pubbliche ai privati, vendiamole! Questi gli imperativi categorici! Non sono contro l’iniziativa privata ma, in un momento di crisi, mi chiedo dove sta il privato in grado di risollevare le sorti di una nostra azienda pubblica.
Mettiamo l’azienda dei trasporti napoletana con un buco di circa 200 milioni di euro. Ditemi dov’è il privato in grado di assolvere il compito senza pregiudicare l’interesse pubblico? Il passato ci dovrebbe aver insegnato che il pubblico in queste operazioni ci ha sempre rimesso. La vendita del patrimonio è sempre andata nelle mani di speculatori privati che, per le loro “amicizie” politiche, hanno fatto affari favolosi. Gli scandali ed i dubbi sull’argomento sono all’ordine del giorno. Ciò è ovviamente lesivo proprio della libera iniziativa economica e delle regole del mercato. Un imprenditore che acquisisce un’impresa pubblica o parte di essa, senza averne i requisiti o senza aver dimostrato di saper competere lealmente sul mercato, perché ha avuto la soffiata o peggio ancora, ha condizionato la formulazione del bando pubblico, facendoselo cucire addosso, reca un danno enorme proprio alla libertà di iniziativa economica, mandando fuori mercato le altre imprese che, seppure dotate di idonea capacità e struttura, mancano della “amicizia politica”. Tra gli imprenditori che hanno a che fare con il pubblico, spesso, manca la mentalità della competizione che finisce per danneggiare proprio il libero mercato. Penso che le imprese che agiscono attraverso i condizionamenti politici siano sullo stesso piano di quelle di camorra: entrambe drogano il mercato pregiudicando la libera concorrenza e quando abbiamo una politica debole e sensibile alle “sollecitazioni” del privato il diavolo è dietro l’angolo e la guardia va tenuta alta, anzi, altissima!