Ma ritorniamo ora alla STU: occorre a questo punto chiedersi come mai siamo arrivati a questo punto e in particolare se si tratta di un problema di uomini o di un problema di strumenti. Chiediamoci allora innanzitutto che cosa è una società di trasformazione urbana. È noto che la politica di pianificazione territoriale delle grandi metropoli europee ha reso necessari interventi di trasformazione urbana per decongestionare le metropoli attraverso la creazione di città satellite. È questo il caso delle new towns inglesi, che quando Berlusconi le cita non sa di cosa parla, o delle villes nouvelles francesi, ossia di quelle città giardino che erano nate per decongestionare la città di Parigi intorno agli anni sessanta. Queste nascono dalla necessità di espandere in maniera controllata la città attraverso la ricerca del giusto equilibrio tra qualità architettonica, verde urbano, paesaggio, trasporti, circolazione. Ma quali sono gli strumenti che gli ordinamenti dei paesi avanzati utilizzano? Sono o degli enti pubblici o delle società commerciali che sovrintendono all’intero processo di riqualificazione delle aree, quindi acquistano suoli, li espropriano, li infrastrutturano, realizzano gli interventi edilizi e poi vendono gli immobili o secondo le regole del mercato o per garantire scopi sociali.
Ma si tratta, e si è sempre trattato, di operazioni che normalmente hanno portato un vantaggio economico per i comuni proprietari di questi enti o di queste società. La legge del 1997, la 127, alla stesura della quale poi ha collaborato anche Sauro Turroni che sedeva in Parlamento in quegli anni, ha deciso di trasportare nell’ordinamento italiano proprio questo modello degli etablissements publics d’aménagement e delle sociétés d’aménagement. Ma del resto queste cose sono ben note, anche la Bagnolifutura, in una pubblicazione del 2011, ci dice: guardate che le mission della società di trasformazione urbana possono essere due. La Bagnolifutura le chiama di sviluppo e di valorizzazione. Lo scenario sviluppo è quello coerente con il modello francese: si prendono i terreni, si infrastrutturano, si realizzano gli immobili e si vendono e il pubblico non solo rientra negli investimenti ma normalmente ci guadagna. E poi c’è lo scenario valorizzazione. Lo scenario valorizzazione è uguale a quello sviluppo ma si ferma ad uno step precedente: invece di vendere gli immobili vende i terreni. È chiaro che la parte più importante dell’operazione economica viene quindi affidata all’impresa privata, ai costruttori e non al comune che ha fatto tutto il lavoro di valorizzazione però. E allora è evidente che dei due scenari descritti uno è più redditizio per il comune dell’altro, per questo penso che noi dobbiamo seriamente riflettere sulla possibilità di modificare la mission della società Bagnolifutura nel senso dello scenario sviluppo. Questo non solo ci consentirebbe di ripianare l’attuale enorme passivo, ma ci consentirebbe addirittura di produrre utili per le casse comunali con i quali potremmo casomai finanziare le tante martoriate politiche sociali di questa città.
Il fallimento della gestione che attualmente si registra è quindi innanzitutto un problema di strumenti giuridici e del modo con cui tali strumenti sono stati modulati. Occorre pertanto ripensare ad una radicale trasformazione delle società Per fare questo è necessario chiaramente un approfondimento con gli urbanisti, con i tecnici del dipartimento di urbanistica, con l’assessore all’urbanistica, con l’assessore al bilancio, con i tecnici del settore economico. Chiedo pertanto che ci sia un tavolo che rapidamente affronti tale questione anche prima di decidere nuovamente del futuro di questa gara, sulla quale abbiamo appreso, dall’intervento del sindaco, che ci sta l’idea di modificare radicalmente gli elementi posti a base di gara. Sulla gara, e su come è stato scritto il bando, potrei aprire un altro capitolo lungo, ma non c’è tempo in questa sede.